Il 30 novembre 2016 il Governo ha sottoscritto un’Intesa con le parti sociali sul futuro rinnovo del CCNL sanità pubblica, con la quale si è impegnato a garantire l’implementazione delle risorse finanziarie da destinare ai rinnovi contrattuali, in modo da assicurare incrementi economici medi non inferiori a 85 euro mensili lordi, cifra questa in linea con la dinamica contrattuale del settore privato nel medesimo periodo.
L’art. 1, comma 679, della legge di bilancio per il 2018, il quale ha integrato le risorse, in modo tale da assicurare incrementi retributivi pari, per il 2016, allo 0,36 per cento, all’1,09 per cento per il 2017 e al 3,48 per cento a regime.
Particolarmente significativo risulta il nuovo sistema delle relazioni sindacali, che delinea le nuove modalità relazionali tra parte datoriale e sindacati. Il nuovo sistema è basato sulla partecipazione e sulla contrattazione integrativa. Nell’ambito della partecipazione, un ruolo centrale è stato attribuito al
“Confronto” (art. 5), inteso come dialogo approfondito, non formalizzato, sulle materie
rimesse a tale livello di relazione, finalizzato a restituire alle organizzazioni sindacali un
ruolo di partecipazione costruttiva sulle determinazioni che l’azienda o l’ente intenderà
adottare.
Va segnalato l’art. 7, che istituisce un Organismo paritetico per l’innovazione, allo
scopo di attivare stabili relazioni aperte e collaborative su progetti di organizzazione,
innovazione e miglioramento dei servizi. Le competenze di tale organismo, in taluni casi,
peraltro, si sovrappongono a quelle già spettanti al Comitato unico di garanzia (CUG), di
cui all’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.
L’elemento innovativo, rispetto al passato, è dato dalla previsione della tipologia
generale degli incarichi funzionali correlati allo svolgimento, per i ruoli sanitario, tecnico,
amministrativo e professionale (categoria D), di funzioni che prevedano la diretta
assunzione di elevate responsabilità aggiuntive e/o maggiormente complesse rispetto alle
attribuzioni proprie della categoria e del profilo di appartenenza (art. 14). Nell’ambito degli incarichi funzionali vengono distinti un incarico di organizzazione e un incarico professionale. Gli incarichi di organizzazione sono sovraordinati agli incarichi professionali. Come specificato nella relazione illustrativa dell’Aran, gli incarichi di organizzazione e professionali sono previsti in luogo dei precedenti incarichi di posizione organizzativa e di coordinamento. L’attribuzione degli incarichi funzionali, effettuata sempre nei limiti della disponibilità del fondo denominato “Condizioni di lavoro e incarichi”, presuppone una
previa valutazione da parte dell’azienda e dell’ente della sussistenza di particolari
esigenze di servizio, tenuto conto ciascuno dei propri ordinamenti, delle leggi regionali e
di scelte di programmazione sanitaria e sociosanitaria nazionale e/o regionale (art. 18). Tutti gli incarichi possono essere rinnovati, per una durata massima di 10 anni, ma solo a seguito di valutazione positiva.
La responsabilità disciplinare dei dipendenti (artt. 64 e seguenti) viene rivisitata alla
luce delle nuove disposizioni intervenute con il d.lgs. n. 116 del 2016 ed il d.lgs. n. 74 del 2017. Il testo negoziale riporta, a fini di completezza e chiarezza espositiva, anche istituti regolamentati direttamente dalla legge.
Viene confermata l’abolizione delle cd. “fasce di merito”, con previsione dell’attribuzione, ai dipendenti che conseguono valutazioni più elevate, di una maggiorazione del premio individuale, che non potrà essere inferiore al 30 per cento del valore medio pro capite dei premi attribuiti al personale valutato
positivamente.
Per quanto attiene agli aspetti economici, l’ipotesi di contratto in esame destina
le risorse disponibili agli incrementi degli stipendi tabellari (art. 76), al riconoscimento di
un emolumento perequativo una tantum (art. 78), all’incremento dei trattamenti accessori
(artt. 80-85) e all’onere derivante dalle clausole ascrivibili alla previsione di permessi
orari per l’espletamento di visite mediche, ovvero di assenze per terapie salvavita,
associate a patologie gravi (artt. 40-43).
Occorre evidenziare che la parte prevalente del beneficio medio a regime previsto
con l’ipotesi di contratto in esame è destinata alla rivalutazione della retribuzione
tabellare. Soltanto una minima parte (circa lo 0,31 per cento) è finalizzata alla
rivalutazione dei trattamenti accessori. Si tratta di una scelta che, ad avviso della Corte, al di là dei profili di compatibilità economica, non appare in linea con gli atti di indirizzo, in cui si sottolineava che le risorse contrattuali avrebbero dovuto essere distribuite secondo un criterio di proporzionalità tra le voci retributive.
Il riconoscimento di un emolumento perequativo una tantum (art. 78) da
corrispondere, per il solo periodo aprile-dicembre 2018, al personale già destinatario delle
misure di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 190/20144, collocato nei livelli più bassi,
non sembra, poi, realizzare del tutto nell’ipotesi di contratto in esame la propria finalità.
Il beneficio viene previsto, infatti, seppure in maniera regressiva, per tutte le fasce (A, B,
C e D nonché alle alte specializzazioni), con ciò ampliando, di fatto, la platea dei
destinatari sulla base del criterio reddituale. Più in generale in tema di perequazione, occorre rilevare come, al termine della prima tornata contrattuale tenutasi dopo un lungo periodo di blocco e la riforma del
pubblico impiego avviata con la legge n. 15 del 2009, appaia sostanzialmente mancato –
allo stato – uno degli obiettivi strategici che pur avevano ispirato la riforma medesima,
declinato nell’accorpamento in soli quattro comparti di contrattazione di tutti i precedenti
CCNL. A fronte di un’auspicata tendenziale omogeneizzazione dei trattamenti economici
complessivi del personale delle pubbliche amministrazioni, nei fatti il riconoscimento di
incrementi retributivi a regime nella misura del 3,48 per cento aumenta i differenziali retributivi preesistenti, non tanto fra i diversi quattro comparti, quanto nell’ambito dello stesso comparto.
Occorre evidenziare che le risorse derivanti dall’ipotesi di contratto in esame per il
trattamento accessorio vengono destinate tutte all’incremento del “Fondo condizioni di
lavoro e incarichi” a decorrere dal 31 dicembre 2018 e a valere dal 1° gennaio 2019 (art.
80, comma 3, lett. a). Si tratta di un importo annuo pari a 91 euro pro capite, che genera
un onere nel 2019 pari a circa 68 milioni di euro. Come rappresentato dal MEF nella citata nota del 30 marzo 2018, profili critici presenta il predetto “Fondo condizioni di lavoro e incarichi” in relazione alla mancata previsione di una sorta di clausola di salvaguardia del livello storico del finanziamento
degli istituti correlati al lavoro straordinario e alle condizioni di disagio, considerato che
non è esclusa la possibilità che con il fondo di cui all’art. 80 vengano finanziate le
indennità di incarico (comma 6, lett. c, dell’art. 80) in misura tale da rendere insufficienti
le risorse del fondo per il finanziamento degli istituti correlati al lavoro straordinario e
alle condizioni di disagio.
La previsione di un unico fondo per il finanziamento degli incarichi e per il finanziamento degli istituti correlati al lavoro straordinario e alle condizioni di disagio (in precedenza le posizioni organizzative gravavano sul “Fondo fasce retributive”), se non sottoposta in fase attuativa ad un adeguato controllo, potrebbe determinare oneri finanziari aggiuntivi correlati alla necessità di dovere comunque garantire i LEA. Di qui l’opportunità, ad avviso della Corte, di stabilire, anche mediante l’istituto del “Confronto regionale” (art. 6 dell’ipotesi di contratto), linee di indirizzo generali, nel rispetto dell’autonomia contrattuale delle aziende, per il corretto impiego del
fondo in coerenza con la garanzia dei LEA, e nel rispetto delle compatibilità finanziarie
della presente ipotesi di contratto.
Quanto alla compatibilità economica dell’ipotesi di contratto in esame, occorre
ricordare che l’Intesa Governo-Sindacati sugli assetti contrattuali del settore pubblico del
30 aprile 2009 prevedeva che il calcolo delle risorse da destinare agli incrementi
contrattuali, per il triennio 2009-2011, avrebbe dovuto essere effettuato assumendo la
previsione dell’indice IPCA (Indice dei prezzi al consumo armonizzato), al netto dei
prodotti energetici importati, quale parametro di riferimento per l’individuazione
dell’indice previsionale, da applicarsi ad una base di calcolo costituita dalle voci di
carattere stipendiale. Tale meccanismo – che non ha trovato attuazione, per effetto della citata normativa sul blocco della contrattazione – avrebbe dovuto essere espressamente confermato ovvero
formare oggetto di revisione al termine del previsto triennio di vigenza.
Le Parti hanno, tuttavia, ritenuto superato il predetto quadro di riferimento, anche
in relazione alla sottoscrizione dell’accordo del 30 aprile 2016, stipulato direttamente tra il Governo e le Parti sociali, che, limitatamente al triennio 2016-2018, ha delineato incrementi retributivi medi mensili pari a 85 euro lordi.
Osserva, tuttavia, la Corte che il parametro per certificare la compatibilità
economica di incrementi contrattuali, specie se superiori all’andamento dell’inflazione, non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione, in termini di recupero della produttività del settore pubblico. Sotto tale profilo, l’ipotesi di contratto in esame, al pari dei contratti relativi agli altri comparti, non appare in linea con l’obiettivo, affidato dalla legge delega n. 15 del 2009 alla contrattazione collettiva, di procedere ad una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili della retribuzione, da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali.
La scelta di destinare la quasi totalità delle risorse destinate alla tornata contrattuale 2016-2018 alla rivalutazione dello stipendio e delle altre componenti della retribuzione aventi carattere fisso e continuativo appare, come già detto, tra l’altro, in contrasto con gli obiettivi di efficienza ed efficacia indicati negli atti di indirizzo.
Fonte: CortedeiConti